L’11 aprile 1963 Giovanni XXIII firmò l’enciclica “Pacem in terris”. Nel desiderio di una Chiesa che attuasse concretamente il Vangelo, fece sentire la sua voce per la prima volta alla politica internazionale. Una enciclica che oggi a più di 60 anni rimane straordinariamente profetica. Una enciclica che pone fortemente il tema della lettura dei “segni dei tempi”. Viene scritta da Papa Giovanni XXIII in un momento dove la guerra fredda, la corsa agli armamenti, il pericolo di una guerra nucleare sono prossimi e minacciano la pace e la sicurezza dell’umanità. Quale allora la strada da percorrere: Papa Giovanni XXXIII la traccia indicando come riferimento il riconoscimento della dignità dell’essere umano come soggetto di diritti e di doveri, il primato della politica come elemento di attuazione del bene comune attraverso la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, il dialogo come occasione di ricomposizione dei conflitti.
La genesi dei messaggi della Pace prende origine proprio da questa enciclica. La Prima Giornata dedicata alla pace fu voluta dal successore di Papa Giovanni XXXIII Paolo VI, che la istituì con un messaggio datato 8 dicembre 1967. «Noi – scrisse – possiamo avere un'arma singolare per la pace: la preghiera, con le sue meravigliose energie di tonificazione morale e di impetrazione, di trascendenti fattori divini, di innovazioni spirituali e politiche; e con la possibilità ch'essa offre a ciascuno di interrogarsi individualmente e sinceramente circa le radici del rancore e della violenza, che possono eventualmente trovarsi nel cuore di ognuno. Parole di allora, che risuonano oggi come una profezia.
Nel 1968, Paolo VI propose la riflessione sulla pace del Concilio appena concluso. Spiegò che la «promozione dei diritti dell’uomo» è il «cammino della pace» sono elementi imprescindibili . L’anno dopo poi si occupò di educazione e riconciliazione, pilastri questi anche questi fondamentali per un dialogo di pace. E, sessanta anni dopo, la Pacem In Terris ed il pensiero postconciliare di Paolo VI sono ancora profondamente attuali, nonostante il mondo da allora sia cambiato profondamente.
Oggi ci ritroviamo proiettati a vivere situazioni simili. Papa Francesco ci ricorda costantemente lo stato di “guerra mondiale a pezzi” con cui l’umanità tutta si confronta, pace lontana e diritti dei popoli calpestati.
Ancora una volta la prospettiva indicata dal Pacem in terris ci indica una strada diversa. Ci dice come le relazioni tra individui, comunità e nazioni debbano essere basate sui principi di verità, giustizia, amore e libertà, ci ricorda che sono le persone a creare le condizioni per la pace, cioè tutti gli uomini di buona volontà. Il dialogo aperto e la collaborazione senza barriere diventano il tema e lo stile non solo della ricerca della pace, ma di ogni forma di convivenza.
Siamo in tal senso reduci dalla Marcia della Pace nazionale, che quest’anno si è svolta a cavallo tra Gorizia e Nova Gorica, un laboratorio dove si è sviluppata, come Papa Francesco ci ricorda nel suo messaggio del 2022, un’“architettura” della pace, dove sono intervenute nel tempo le diverse istituzioni della società, ma dove c’è stato anche e soprattutto un “artigianato” della pace che ha coinvolto le comunità. Tutti possono - ci ricorda Papa Francesco - collaborare ad edificare un mondo più pacifico a partire dal proprio cuore e dalle relazioni in famiglia, nella società e con l’ambiente, fino ai rapporti fra i popoli e gli stati.
Francesco De Gregori in una sua nota canzone ci ricorda che “la storia siamo noi” ed è cosi che a 60 anni di distanza Giovanni XXIII ci riaffida la sua enciclica. Ci ricorda che la Pacem in terris è nelle nostre mani e ci coinvolge; passa attraverso i nostri piccoli gesti di vita quotidiana, di artigiani di pace, nel modo di vivere con gli altri, coi vicini e coi lontani, con la gente che incontriamo per la strada. E’ così che noi scegliamo ogni giorno di essere pro o contro la pace.
Paolo Cappelli