logo desktop
logo mobile
SELEZIONE CORRENTE: TEMA=IL PUNTO DEL PRESIDENTE
risultati: 52
RICERCA CORRENTE:
HOME > News, articoli e comunicati:La presunzione delle tre tende: il rischio del Club.

La presunzione delle tre tende: il rischio del Club.

data di pubblicazione: 16-09-2023

Essere cristiani e laici di AC significa vivere la storia dell’umanità, calarsi nella quotidianità, spendersi per la ricerca del bene comune, affinché i luoghi dei paesi e delle nostre città, diventino luoghi in cui si guarda all’interesse comune, uscendo dalla logica della nostra piccola tenda…

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù… Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia».  (Mc 9, 1).
 
Quante volte anche a noi è venuto il desiderio di salire sulla montagna e piantare la tenda. Rifugiarci nel nostro gruppo, nella Parrocchia nella nostra confort zone.   In qualche modo potremmo dire che piantare la tenda è piantare un po’ le nostre certezze. Ma piantare certezze, ci dice Gesù, non è fede. Spesso  subentra, in una realtà complessa ed incerta come quella di oggi, fatta di  grandi domande di senso,  la paura della novità, della sfida.  Ed è appunto la paura a suggerire a Pietro questa soluzione. E’  la paura che ci fa cercare  sempre rassicurazioni persino nella fede: “Tre capanne” per tenere sotto controllo ciò che non si può tenere sotto controllo.  
 
L’invito  invece di Gesù  è un altro, quello di abbandonare le tende, cioè le nostre certezze e scendere dalla montagna. Una scelta  che spesso a  noi non piace fare, perché comporta incontrare la “cruda realtà” della nostra vita, misurarci con gli altri,  e con le loro diversità. Un atteggiamento quello di “uscita”, e ce lo ricorda sempre Papa Francesco,  che deve connotare il nostro essere cristiani nel mondo.
 
Ma non si tratta solo, per usare una terminologia che va molto in moda  al tempo del Sinodo, di “abitare i luoghi” ma soprattutto di saperli abitare  e di viverli bene.
 
Quale allora il modo? Nella lettera a Diogneto  uno dei più antichi e suggestivi scritti dell'antichità cristiana ci viene indicato uno stile: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere… Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati… Insomma, per parlar chiaro, i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”.
 
Essere cristiani, ed in particolare laici di AC, ma soprattutto vivere un percorso sinodale, significa allora vivere la storia dell’umanità, sporcarsi nella storia, parlare i linguaggi contemporanei, calarsi nella quotidianità, spendersi per la ricerca del bene comune, instaurare relazioni buone tra persone, tra gruppi, tra associazioni, affinché  le nostre case, le nostre Chiese, il condominio, il quartiere, i luoghi dei paesi e delle nostre città, diventino luoghi in cui si guarda all’interesse comune,  uscendo dalla logica della nostra piccola tenda, da cui spesso giudichiamo e che è  rappresentata dalle sicurezze che si possono ritrovare nella “comoda vita”, nella  parrocchia, o nel piccolo recinto ecclesiale che rischiamo di costruirci.