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La Messa è finita

data di pubblicazione: 06-05-2023

Diventa necessario riscoprire una fede di comunità che è in primo luogo incontro

La messa è finita è il titolo di un film di successo  del 1985 di Nanni Moretti che racconta la storia di don  Don Giulio, che dopo un servizio in una Parrocchia di campagna fa ritorno in citta,  a Roma, dove è nato e cresciuto, per sostituire un prete che ha abbandonato l'abito talare e messo su famiglia. L'uomo è molto contento di poter rivedere i propri cari, in particolare di riabbracciare la madre e la sorella e gli amici di un tempo.
 
Si rende ben presto conto però che nonostante i suoi sforzi per rendersi utile e per dare suggerimenti, non riesce a risolvere i problemi che affliggono chi gli sta intorno, la conclusione è interlocutoria ed amara. Certamente di tratta di un film degli anni 80 che fotografava la crisi della società di allora, ma che ancora oggi ha mantiene  aspetti di grande attualità e che ci può accompagnare ed aiutare  a riflettere sulla crisi della fede, ma più in generale la crisi della Chiesa.
 
Quali sono gli elementi di questa crisi?  Papa Francesco nella sua omelia dell’Epifania del 2022 individua questa crisi della fede nel fatto  che sia  scomparso il desiderio di Dio: “a che punto siamo nel viaggio della fede? Non siamo da troppo tempo bloccati, parcheggiati dentro una religione convenzionale, esteriore, formale, che non scalda più il cuore e non cambia la vita? Le nostre parole e i nostri riti innescano nel cuore della gente il desiderio di muoversi incontro a Dio oppure sono lingua morta” che parla solo di sé stessa e a sé stessa.  Viviano oggi in tal senso in comunità stanche, spesso spente.
 
Diventa allora fondamentale  riscoprire  la gioia che  passa attraverso l’incontro e che a volte ha bisogno di vivere anche il passaggio del sano scontro perché ogni crisi si risolva sempre per il meglio. La responsabilità della gioia sta proprio nel fatto che ciascuno deve essere riconosciuto nella propria identità e vocazione senza aver paura di percorrere strade nuove, diventando capaci di relazioni generative.
 
Non si tratta allora semplicemente di essere simpatici, di mettersi addosso un abito per venir più facilmente considerati. Si è davvero efficaci solo quando si è essenziali, quando ci si riconosce con gratitudine appartenenti a Cristo. E le radici delle nostre relazioni trovano in esso la linfa necessaria per generare frutti di pace e di bontà. La Messa allora diventa una rappresentazione plastica, una metafora di un percorso  luogo  privilegiato dell’esperienza cristiana dell’incontro personale con Dio e con i fratelli. Un percorso che attraverso l’ascolto della Parola ci aiuta  a scoprire la meraviglia dell’essere complici insieme dell’avventura della vita secondo il Vangelo.
 
La Messa  in tal senso si conclude con l’invito ad andare in Pace, che non significa però tornare a casa, come prima, ma  vivere il mandato di Cristo: «Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo” soprattutto con la testimonianza – io sono con voi sempre!» (cfr. Mt 28,19–20). Recuperiamo allora la gioia dello stare assieme, ma soprattutto la dimensione della missionarietà vivendo il Sinodo, nei suoi tre elementi portanti: comunione, partecipazione, missione. Ed allora la Messa non sarà finita, ma appena cominciata.
Buona Messa a tutti. 
 
La pace è finita, andate a Messa (Don Tonino Bello)
Il frutto dell’eucaristia dovrebbe essere la condivisione dei beni. I nostri comportamenti invece sono l’inversione di questa logica. Le nostre messe dovrebbero smascherare i nuovi volti dell’idolatria. Le nostre messe dovrebbero metterci in crisi ogni volta. Per cui per evitare le crisi bisognerebbe ridurle il più possibile. Non fosse altro che per questo. Dovrebbero smascherare le nostre ipocrisie e le ipocrisie del mondo. Dovrebbero far posto all’audacia evangelica. Non dovrebbero servire agli oppressori.
 
Bonhoeffer diceva che non può cantare il canto gregoriano colui che sa che un fratello ebreo viene ammazzato. Non si può cantare il canto gregoriano quando si sa che il mondo va così.
 
Tante volte anche noi, presi da una fede flaccida, svenevole, abbiamo fatto dell’eucaristia un momento di compiacimenti estenuanti, che hanno snervato proprio la forza d’urto dell’eucaristia e ci hanno impedito di udire il grido dei Lazzari che stanno fuori la porta del nostro banchetto.
 
Se dall’eucaristia non parte una forza prorompente che cambia il mondo, che dà la voglia dell’inedito, allora sono eucaristie che non dicono niente.
 
Se dall’eucaristia non si scatena una forza prorompente che cambia il mondo, capace di dare a noi credenti l’audacia dello Spirito Santo, la voglia di scoprire l’inedito che c’è ancora nella nostra realtà umana, è inutile celebrare l’eucaristia. Questo è l’inedito nostro: la piazza. Lì ci dovrebbe sbattere il Signore, con una audacia nuova, con un coraggio nuovo. Ci dovrebbe portare là dove la gente soffre oggi. La Messa ci dovrebbe scaraventare fuori.
 
Anziché dire la messa è finita, andate in pace, dovremmo poter dire la pace è finita, andate a messa. Ché se vai a Messa finisce la tua pace.