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Carlo Acutis: il coraggio di essere giovani

data di pubblicazione: 09-11-2020
Viviamo in un tempo di grazia. Un tempo in cui abbiamo la possibilità di metterci alla sequela di Cristo guidati e accompagnati da grandi testimoni del Suo Amore. Uno di questi, l’ultimo, ma solo per motivi cronologici, è Carlo Acutis. Dal punto di vista di Carlo noi, addirittura, saremmo più fortunati dei primi discepoli «perché loro per incontrare Gesù dovevano andarlo a cercare nei villaggi mentre noi possiamo scendere nella Chiesa sotto casa e trovarlo realmente presente nell’Eucaristia».

Il 10 ottobre Carlo è stato proclamato beato ad Assisi, primo tra i millennials (i nati tra l’inizio degli anni ’80 e la fine degli anni ’90 del Novecento), ma oltre le foto della sua tomba aperta e le molte citazioni che probabilmente abbiamo letto, la sua figura, oggi, dice anche a noi, giovani di AC,  tre cose.

Carlo era un giovane. Nato nel 1991 a Londra da genitori italiani, emigrati per motivi di lavoro, oggi sarebbe a tutti gli effetti un nostro coetaneo. La vita terrena di Carlo, però, si è interrotta a 15 anni a causa di una leucemia fulminante, a quell’età in cui ci si inizia ad affacciare alla propria giovinezza: potrebbe essere uno degli adolescenti che vivono i gruppi nelle nostre parrocchie, che partecipano alla vita delle nostre comunità; un ragazzo normale, appassionato di informatica e videogiochi. Carlo in definitiva è, o potrebbe essere, ciascuno di noi. Parliamo spesso della vocazione universale alla santità, Carlo ci aiuta a capire che questa è una chiamata reale, tangibile e possibile per ciascuno di noi, indipendentemente dall’età, dal sesso, dalle esperienze di vita.

C’è un tratto di Carlo che emerge molto forte dai racconti della sua vita. Non è beato perché ha compiuto miracoli, ma è beato perché chiamava il Signore per nome, aveva una piena confidenza con Lui. Nella sua breve vita aveva capito che Dio non è un qualcosa di distante a cui appellarsi nei momenti di difficoltà, ma è una persona reale che si incontra nell’Eucarestia, nella Parola e nel prossimo. Carlo ha lasciato che il Signore riempisse totalmente la sua vita, al punto di guardare il Signore in viso non solo durante la celebrazione dei Sacramenti, ma anche nel servizio ai fratelli (compiva opere di carità con i clochard e faceva servizio di catechesi ai bambini) e nella quotidianità. La vita di Carlo era colma di Dio, di un’esperienza di fede che non si esaurisce in alcuni momenti limitati, ma che è lode costante a Colui che ci ha creati. Questo ci insegna Carlo: uscire dai nostri schemi classici per incontrare il Signore nei Sacramenti, nei fratelli e nella Storia.

Carlo, infine, ci svela per quello che siamo. La grande risonanza che ha avuto la sua beatificazione ci rende capaci di riconoscere che è un tempo in cui abbiamo bisogno di testimoni, un tempo in cui -forse anche per la fase di incertezza che abbiamo vissuto e stiamo vivendo a causa del Covid-19- più che sentir parlare di Dio, abbiamo bisogno di fare esperienza di quella gioia che si prova nel lasciarsi toccare da Dio. Paolo VI, il 2 settembre 1974, nell’Udienza al Pontificio consiglio per i Laici affermava che «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri». L’esperienza di Carlo ci tocca così nel profondo perché prima di tutto è stato un testimone: proviamo a imitarlo. Nelle nostre giornate liberiamoci di tutte quelle parole non necessarie e facciamo spazio alla capacità di testimoniare ai fratelli quell’Amore che non ha fine.

Grazie, Carlo.
Insegnaci a essere pienamente giovani.
Insegnaci a essere intimi con Dio.
Insegnaci a essere testimoni del Suo Amore.

LUISA ALFARANO e MICHELE TRIDENTE
Responsabili del coordinamento Giovani FIAC

TOMMASO SERENI
membro dell’Organismo Consultivo Internazionale dei Giovani del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita