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Storia
Le solide basi ancorate nelle profonde radici cristiane di fede e civiltà

La chiesa che vive a Gorizia trae la sua origine in Aquileia e nella sua storia di fede e di civiltà. Dal 1751, invece, la sua configurazione e la sua identità di fede e prassi pastorale sono legate  alla decisione di papa Benedetto XIV di dare vita ad una struttura ecclesiale che –unitamente a quella di Udine- rispondesse meglio all’esigenza di una rinnovata missione evangelizzatrice e di un’opera pastorale profonda in un territorio caratterizzato dalla multiformità culturale e dalla diversità linguistica, oltre che da una tradizione spirituale feconda.

Una caratterizzazione che impegna tutti, i credenti e la stessa gerarchia, a guardare alle responsabilità della missione e alla testimonianza della chiesa sul territorio con spirito di apertura e di accoglienza, di dialogo e di confronto, di rigore e di presenza attiva nella società, come connotati puntuali di fede insieme alla difesa dell’unità teologica e disciplinare. In una parola,  una comunità ecclesiale impegnata a vivere il vangelo fino alle conseguenze più esigenti, che si schiera dalla parte dell’uomo e dei poveri, che punta sulla evangelizzazione con una proposta ricca ed articolata anche di animazione e di associazionismo, dentro e a favore della società del tempo.

Premesse, quest’ultime, che daranno vita al Movimento cattolico (Circolo goriziano, 1871) ampiamente articolato sul territorio e capace –dentro ad un sistema sociale dove la presenza della chiesa era cercata e riconosciuta ma anche distinta rispetto a forme compromissorie- di ispirare un tessuto umano ed ecclesiale che darà vita alla stagione delle confraternite spirituali e pastorali, alla creazione delle Casse rurali ed artigiane, delle cooperative agricole e alimentari, assicurando una vasta gamma di presenze e di servizi (giornali, associazioni) e, soprattutto, educando le persone e ad una forte autoconsapevolezza, cioè rendendole responsabili del proprio futuro e delle propria missione. Sono stati oltre sessanta anni –a cavallo dei due secoli- di intensissima vita religiosa. Sociale, politica ed economica.

Al centro di questo progetto è riconoscibile la presenza ed il ruolo  primario di alcuni  sacerdoti e anche di laici cristiani con diverse responsabilità e uniti da un’unica consapevolezza: la missione del credente deve comprendere la testimonianza della carità che è destinata a mettere in atto forme specifiche di impegno politico e di presenza sociale. Tutto questo avveniva all’interno di un sistema statuale dove appunto la presenza dei cristiani e della chiesa si presentava articolata e con riferimenti alle dimensioni culturali ed etnico-linguistiche delle popolazioni. Offrire una forte ispirazione a tali presenze dentro alla società, chiamando il laicato alla collaborazione ed alla cooperazione in tutti i settori della vita pubblica e dell’azione pastorale, era il modo di essere caratterizzante  quella comunità ecclesiale.

Con la fine della grande guerra (1915-1918), l’attività di formazione e di presenza cattolica, sia  comunitaria che  istituzionale, veniva a cessare brutalmente: numerosi sacerdoti e pastori d’anime subirono il confino con l’accusa di essere “austriacanti”. La ripresa avveniva a Gorizia a cura del circolo “Per crucem ad lucem” (1922) che resta l’unica esperienza di associazionismo e di attività di formazione del laicato cattolico in quel periodo. Un’attività che vedeva protagonista mons. Luigi Fogar,  futuro vescovo di Trieste, ed altri benemeriti sacerdoti. Il circolo era formato soprattutto da giovani e la dimensione fondamentale delle attività era la formazione  a carattere prevalentemente giovanile.

Nonostante il clima ostile del regime (agli inizi degli anni venti), la presenza di altre organizzazioni e associazioni chiaramente orientate, prendono vita nei paesi quelle specifiche dell’Azione cattolica italiana che si incarnano progressivamente sul territorio diocesano. L’Aci (a cominciare da Gioventù Femminile, 1922), così, trova accoglienza –non facile, dopo un’interruzione violenta e quattro anni di guerra con la distruzione di vite, di beni, di vita comunitaria e familiare e nell’incertezza del futuro- nelle zone che per lingua e cultura, costume  e mentalità, appartengono alla comunità italiana e friulana, favorita dalla presenza di sacerdoti attivi e fervorosi che guardano al futuro. Invece, nella parte della comunità slovena (che, in quel momento, rappresentava oltre il 60 per cento  della diocesi) progrediva e si irrobustiva  la ricostituzione non facile di gruppi ed associazioni slovene con  loro specifiche caratterizzazioni.

I primi gruppi di Aci registrano la prevalenza della divisione tra attività maschile e femminile a livello soprattutto dei giovani. Solo successivamente si vanno costituendo  gruppi di adulti  (donne e uomini) che così completano  l’associazione in tutte le sue ramificazioni.  Una presenza quella delle associazioni e dei gruppi di Aci che è stata garantita da autorevoli interventi (PIO XI) in momenti nei quali forte era il pericolo della manipolazione da parte del regime che imponeva a tutt i giovani la assidua pratica delle attività comuni e, soprattutto, a causa della scuola orientata a senso unico.

Il ruolo dell’Aci diviene fondamentale in quanto essa è stato il luogo privilegiato dell’educazione in generale  e dell’educazione alla fede in particolare di intere generazioni; in secondo luogo, la formazione dentro l’associazione si presentava non solo in simbiosi con quanto le famiglie vivevano, ma rappresentava il luogo privilegiato dove ascoltare qualcosa di diverso dalla propaganda ed il terreno del radicarsi della fede nella concretezza della esistenza.

Schiere di uomini e donne, di giovani e ragazze, formate all’interno dei gruppi parrocchiali sul trinomio “preghiera, azione e sacrificio” (al quale Paolo VI aggiungerà “studio” negli anni settanta) costituiranno la parte rilevante e attiva delle parrocchie, esse  offriranno garanzie sicure anche per la costituzione della futura classe dirigente, animando  il dibattito culturale e poi quello politico. Una formazione che sollecita tutti ad essere protagonisti nella vita politica ed amministrativa, in quella culturale e sociale con particolare riguardo alle attese della ricostruzione, della pace, del dialogo e dell’incontro, della democrazia e della partecipazione, del riscatto delle classi sociali dalla povertà e dalla ignoranza. Laici cristiani, con una evangelicamente motivata formazione, erano presenti in ogni ganglio della vita comunitaria, attivi ed entusiasti, organicamente uniti nella comunità cristiana secondo le prospettive del tempo..

Dopo la tragedia della seconda grande guerra, agli inizi degli anni cinquanta emergono i primi mutamenti che preludono alle grandi attese che solo il Concilio saprà cogliere ed interpretare. Un rinnovamento che è insieme nelle cose e nelle persone e che Giovanni XXIII indicherà come il bisogno di “aprire le finestre e di far entrare aria fresca nella chiesa”, di “aggiornare” respingendo i profeti di sventura e avendo fiducia in Dio e negli uomini, fratelli e chiamati a costruire il Regno di Dio.

Tali richieste  trovano risposta positiva nel dibattito conciliare che mette a nudo contraddizioni (guerra fredda, condanne, moralismo, perbenismo…),  mette in crisi sicurezze e certezze (unità di fede e unità politica, dialogo fede e ragione, clericalismo e confessionalismo…)  provocando  un salutare ripensamento con particolare riguardo alla domanda di fede e di testimonianza dei laici cattolici.

La domanda di rinnovamento trovò risposta in diocesi grazie ai collegamenti con la ricerca biblica, la teologia e la liturgia, alla sollecitazione dei tempi e  anche all’arcivescovo Andrea Pancrazio (1962-1967), il quale anima per cinque anni un intenso dibattito; gruppi di laici credenti –quasi tutti dentro l’Aci- esprimono a diversi livelli una rinnovata ricerca culturale (circoli e riviste), una forte esigenza di comunicazione (nuova veste al settimanale diocesano e di altre riviste), richiesta di teologia (scuole di teologia) e della stessa azione pastorale. E’ il tempo in cui nascono anche nuove esperienze di educazione alla fede e di presenza sul territorio in particolare nella scuola.

Sono i laici, in particolare, a maturare all’interno della loro coscienza  scelte di apertura e di responsabilità ( fine dell’attività dei Comitati civici e del collerateralismo)anche a riguardo del futuro del movimento cattolico, in vista anche della distinzione fra politica e azione cattolica, alla ricerca di una presenza e iniziativa responsabile dei laici nella chiesa ma soprattutto nella società. In particolare tale impegno nascerà attorno all’impegno culturale e politico, recuperando l’attenzione per il dialogo e il confronto, la pace e la collaborazione, il superamento dei confini e delle divisioni, la riappacificazione della comunità e, in particolare, il rispetto e la valorizzazione delle “minoranze” come una ricchezza e non un peso.

Alla fine degli anni sessanta si apre nella chiesa diocesana un dibattito ed una larga consultazione sul futuro stesso dell’Azione cattolica alla luce delle conclusioni del Concilio.e sul ruolo della associazione nella chiesa locale. Il dibattito è tutto teso alla ricerca di strade nuove a livello di movimenti e di gruppi. Incominciano a staccarsi i vari gruppi e movimenti dall’antica pianta unica; ma si pongono interrogativi seri anche per quanto riguarda l’incontro tra la modernità e la fede, la fine della società cristiana e l’emergere della secolarizzazione. Nascono e si presentano altri e parzialmente nuovi (Comunione e Liberazione, 1971).

Il ripensamento all’interno dell’Aci sfocia, nel 1969 con la approvazione del nuovo Statuto; la risposta non risolve tutti i punti interrogativi, offre una risposta solo parziale di fronte alla velocità delle trasformazioni in atto ed alla modestia dei risultati perseguiti. In ogni caso, alla luce della riscoperta della Parola di Dio –che torna dopo secoli ad essere considerata il centro con i sacramenti della formazione del credente- e della ricerca di una testimonianza che sia di fedeltà a Dio e all’uomo, si sviluppa una vasta azione formativa e di presenza dei cristiani che rinnova le comunità parrocchiali proprio a partire da quella “scelta religiosa” del Concilio, delle chiese in Italia e dell’Aci.

L’AC rinnoverà nuovamente il suo Statuto con l’Assemblea straordinaria del 2003 per ispondere sempre di più alle esigenze pastorali e ai mutamenti scoiali che avvegnono sempre più rapidamente.

Negli ultimi trentacinque anni di vita e di attività, l’Aci diocesana ha operato a servizio della comunità ecclesiale e dell’intera società goriziana proponendosi come agenzia educativa e di formazione laicale, come luogo di elaborazione della azione pastorale e come luogo di maturazione della testimonianza di fede, collaborando fattivamente con quanti hanno a cuore l’azione evangelizzatrice e caritativa della chiesa ed in particolare per la promozione del laicato cattolico. Un ruolo (ridimensionato e diverso dopo la nascita di movimenti e la costituzione di Uffici pastorali che ne hanno assunto alcuni compiti e attività), vissuto nel silenzio ma attivo, lontano dai privilegi e con molti impegni, primo fra tutti quello di dare vita a momenti alti di elaborazione pastorale e culturale. Una presenza, quella dell’Aci – ad esempio, sotto la guida dell’arcivescovo Pietro Cocolin- organica dentro cioè alla  vita pastorale quotidiana delle parrocchie, alla vita diocesana e della comunità goriziana proponendosi come esperienza di chiesa di popolo e non di elites.

L’Aci (alla luce dei primi 10 articoli dello Statuto che ne indicano indole, ruolo e compiti) ha inoltre maturato e chiesto per tutti e per sé, una coraggiosa distinzione tra fede e impegno temporale, aiutando le persone e le comunità cristiane ad operare in libertà ma anche tenendo conto che l’unità va fatta sul bene comune e che la testimonianza dei credenti non si chiude in sagrestia ma abbraccia ogni dimensione della vita personale e sociale. L’associazione, tra l’altro, si è fatta carico prima di ridare consistenza alla Consulta dei laici e, successivamente, alla rifondazione della “Consulta delle aggregazioni laicali”; inoltre l’ACI ha  partecipato attivamente ad offrire il proprio contributo, grazie anche alle presenze diverse sul tessuto della chiesa diocesana, per la preparazione, studio ed elaborazione del Sinodo Goriziano II (1998), voluto ed approvato dall’arcivescovo P.Vitale Bommarco (1983-1999)

Laicità, pluralità di opzioni nella distinzione dei fini e dei mezzi, educazione alla coscienza democratica ed  autonomia rappresentano il punto più alto di riferimento per le scelte che i credenti ed i soci di Aci sono chiamati a vivere dentro nella società perché “ogni attività , ogni situazione, ogni impegno concreto –come ad esempio la competenza e la solidarietà nel lavoro, l’amore e la dedizione nella famiglia e nell’educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell’ambito della cultura- sono occasioni provvidenziali per un continuo esercizio della fede, della speranza e della carità”. (Apc, 4)

Inoltre, è utile ed auspicabile evitare ogni diaspora anche culturale dei cattolici -senza coltivare alcun complesso di inferiorità nei confronti di alcuno, senza limitarsi alla semplice trasformazione delle strutture e senza lasciarsi imbrigliare in rigidi schematismi- in quanto, per i cristiani, si tratta  di inverare con una corretta mediazione culturale che ne valorizzi la ispirazione, i contenuti socio-politici del messaggio cristiano.