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Fra catastrofismo e speranza: la responsabilità dei laici nella Chiesa e nel mondo (società, cultura, politica)

autore: Gabriella Burba
data di pubblicazione: 07-12-2023

Come essere testimoni e attori di speranza e di pace in un mondo dominato ormai da scenari e previsioni inclini al catastrofismo?

Non siamo di fronte soltanto alla diffusione di un pessimismo indotto dalle ricorrenti crisi economiche, ma ai gridi di allarme provenienti da istituzioni mondiali. Alla Cop 28, il segretario generale dell’ONU, Guterres, ha affermato “Il destino dell'umanità è in bilico. Agire subito”, rivolgendosi poi ai leader globali, perché intervengano. Gli stessi leader globali coinvolti non solo nella crisi climatica, ma direttamente o indirettamente nella miriade di guerre e violenze presenti nel mondo. Anche papa Francesco dichiara: “… mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura” (Laudate Deum, 2). Una constatazione realistica, che lungi dal tradursi in rassegnazione e impotenza, comporta una chiamata all’assunzione di maggiore responsabilità, con particolare riguardo alle “motivazioni spirituali” dei “fedeli cattolici”, che dovrebbero concorrere a un duraturo cambiamento culturale e degli stili di vita.
 
La voce dei cattolici nei diversi ambiti della cultura è oggi piuttosto flebile, rischiando di restare rinchiusa nel mondo ecclesiale, in incontri interni, nei settimanali diocesani, con la conseguenza che l’unica voce a risuonare per tutti tramite i media nazionali e internazionali è quella del papa, talvolta con esiti di polemiche divisive.
 
Con la fine della cristianità, diventa urgente per i laici cattolici partecipare nei luoghi dove si produce e si trasmette cultura e si prendono decisioni politiche: dibattiti, convegni, assemblee pubbliche, consigli comunali, festival del territorio. Diventa urgente prendere posizione sui problemi che riguardano tutti, presentando, in modo argomentato e anche cercando alleanze, analisi e proposte indirizzate ai decisori politici e all’opinione pubblica tramite i media laici: può farlo un’associazione, un gruppo o un Consiglio Pastorale, elaborando un documento su una questione di particolare rilevanza per la convivenza civile. Non possiamo lasciare soltanto ai vescovi il compito di esprimere una posizione sul suicidio assistito o sull’immigrazione e tanti altri temi all’ordine del giorno.
 
Scriveva Dietrich Bonhoeffer in tempi di crisi peggiori dei nostri: “Pensate alle cose della terra! Oggi è decisivo che noi cristiani abbiamo o non abbiamo forza sufficiente per testimoniare al mondo che non siamo sognatori e viandanti delle nuvole, che noi non siamo indifferenti all’andamento delle cose, che la nostra fede in effetti non è l’oppio che ci rende contenti in mezzo a un mondo ingiusto. E invece che noi, proprio perché pensiamo alle cose dell’alto, tanto più duramente e coscientemente protestiamo su questa terra. Protestiamo con le parole e le azioni, per cercare a qualsiasi prezzo di portare avanti la situazione.
È mai possibile che il cristianesimo, iniziato in modo così rivoluzionario, ora sia per sempre conservatore?”
 
Compito dei profeti è denunciare per “portare avanti la situazione”, per produrre cambiamenti positivi nella cultura, nella società, nella Chiesa e nella politica. Dell’attuale deterioramento della classe politica ci lamentiamo tutti, ma cosa facciamo per far sentire almeno ai politici locali le nostre istanze e anche le nostre critiche? Quali occasioni di confronto proponiamo ad amministratori comunali, sindacalisti, esponenti di movimenti della società civile? Spesso anche i politici provenienti dal mondo cattolico non hanno più rapporti con l’ambito in cui si sono formati.
Meriterebbe riflettere sulla necessità di formazione politica dei cattolici, ripensando le modalità delle scuole di formazione, che sembrano aver esaurito capacità di incidenza e attrattività verso una scelta rispetto alla quale molti cattolici hanno preferito l’impegno nel volontariato, se non l’assenza da un contesto sociale percepito come anti-cristiano.
 
Vale ancora la pena rileggere la testimonianza di grandi personalità politiche del passato, che hanno incarnato i valori cattolici, dimostrando però nei fatti l’autonomia fra comunità politica e Chiesa sancita poi da GS, 76.
 
Rocco D'Ambrosio, in un articolo recente, i cui contenuti sono già chiari nel titolo “Da De Gasperi e Moro, autentici cristiani, a politici clericalizzati e blasfemi che sventolano rosari”, cita un episodio dell’esperienza politica di De Gasperi come “Esempio fulgido di un credente che ha compreso e fatta sua la lezione del ‘date a cesare e date a Dio’”.
 
“Nel 1952 il Vaticano si batté strenuamente affinché a Roma la Dc si alleasse con gli eredi del fascismo (Msi), dopo aver invitato Sturzo a costituire una lista civica. De Gasperi, fermo nelle sue convinzioni antifasciste, resistette alle pressioni. Nel giugno del 1952 De Gasperi richiese un’udienza al Papa per sé e la propria famiglia. Era il trentesimo anniversario del suo matrimonio e sua figlia Lucia aveva appena preso i voti come suora. Il Papa rifiutò e De Gasperi scrisse una lettera all’ambasciatore italiano in Vaticano, Giorgio Mameli, per protestare: ‘come cristiano accetto l’umiliazione benché non sappia come giustificarla; come presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, la dignità e l’autorità che rappresento e di cui non mi posso spogliare, anche nei rapporti privati, mi impone di esprimere stupore per un rifiuto così eccezionale e di riservarmi di provocare dalla Segreteria di Stato un chiarimento’”.
 
Un politico cattolico libero e determinato contrapposto agli atei devoti: distanza culturale prima che politica.
 
Gabriella Burba, delegata diocesana per le Aggregazioni Laicali