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La lettera alla parrocchia senza più il prete: noi famiglie la teniamo viva

autore: Giacomo Gambassi | fonte: avvenire.it
data di pubblicazione: 01-07-2023

La missiva al termine della Settimana di aggiornamento pastorale. Anche se la chiesa è chiusa o la Messa non è assicurata, la comunità cristiana può resistere nei piccoli paesi grazie al laicato (Articolo tratto dal sito di Avvenire.it)

Rischia di essere una «parrocchia di “nessuno”» quella che si trova in un borgo di montagna oppure in un paesino di pianura. Località di quell’Italia considerata, a torto, minore che insistono nelle “aree interne” e che corrono il pericolo di svuotarsi e quindi di trasformarsi in deserto. Anche dal punto di vista ecclesiale. Abitati minuscoli con pochissimi residenti e con chiese che «ce l’avete chiuse alla grande», si legge nella “lettera alla parrocchia” che viene idealmente consegnata alle comunità di tutta la Penisola al termine della 72ª Settimana nazionale di aggiornamento pastorale. Al centro dell’appuntamento organizzato dal Centro di orientamento pastorale e ospitato quest’anno dall’arcidiocesi di Lucca una domanda: “Esisterà ancora nei piccoli paesi la comunità cristiana che segue e annuncia Cristo?”.

La risposta arriva dalla missiva aperta scaturita dalle tre giornate di confronto che è scritta da un’immaginaria famiglia che vive in mezzo a una manciata di case vicino a una vetta “dimenticata” e che è indirizzata a «voi preti» che non hanno più la possibilità di fare servizio in tutti i luoghi di culto sparsi sul territorio. Se la chiesa è chiusa, se la Messa non può essere assicurata neppure a cadenza settimanale, la comunità cristiana può vivere comunque. E «resistere». Grazie proprio alle famiglie e al laicato che non soltanto non fanno morire la parrocchia, ma si impegnano ad animarla nonostante sia in una zona difficile dove il parroco residenziale non c’è più e dove magari la presenza continuativa del sacerdote si fa sempre più complessa per i numeri ridotti del clero.

«Sì, siamo a mezza montagna», si legge nella lettera alla «cara parrocchia di “nessuno”». «Qui siamo rimasti in pochi; un po’ di case e di fienili e stalle e una bella chiesa col campanile; sono marito di una splendida sposa, abbiamo tre bambini e ci sono altre due o tre famiglie giovani, non ancora ben definite, e ci troviamo spesso». Il testo racconta di un laicato maturo, consapevole della chiamata urgente alla corresponsabilità ecclesiale. «Ai nostri tre figli insegniamo le preghiere, siamo contenti di essere sposati perché quando eravamo fidanzati abbiamo fatto una bella esperienza di preparazione al matrimonio, giù in valle con altre giovani coppie. Là voi preti ci avete convinti che il nostro amore è l’immagine più bella dell’amore di Dio per l’umanità, i nostri tre figli lo hanno capito». Poi la lettera descrive come la famiglia possa essere scuola di catechesi: quasi a dire che, se anche manca il prete, la formazione spirituale non viene meno. «Abbiamo dovuto noi raccontare loro qualche bella parabola del Vangelo, perché a scuola non dicono loro niente di questo. È il nostro catechismo per aiutarli a credere in Dio e innamorarsi di Gesù, perché voi vi siete fatti vedere una volta o due e poi siete spariti del tutto. Li vorremmo portare in chiesa qualche volta, ma ce l’avete chiusa alla grande».

Poi la grande domanda. «Avete fiducia che noi possiamo essere una piccola Chiesa? Siamo tutti battezzati, io e mia moglie siamo cresimati, sposati; viviamo tutti i sacramenti, l’unzione degli infermi è meglio lasciarla ad altri tempi. Non siamo già una piccola Chiesa? Se ci portate qualche volta l’Eucaristia con una Messa possiamo fare pure i missionari con i nostri amici. E fare qualche festa religiosa con i compagni di lavoro che passerebbero volentieri qualche serata da noi. Hanno mica cominciato così anche i primi cristiani?». Ecco la proposta di una parrocchia dal volto missionario che fa dei laici il suo motore. Perché, concludono i «due sposi» che firmano la missiva, «vogliamo essere la Chiesa del Signore in pienezza» anche se il prete non c’è ogni giorno.


Ecco il testo della lettera aperta alla parrocchia scaturita dalla Settimana di aggiornamento pastorale   Cara parrocchia di “nessuno”,
finalmente si sono accorti che ci siamo anche noi! Abbiamo saputo di essere una parrocchia delle aree interne. Si, siamo a mezza montagna, non ci sono ancora state frane e possiamo andare a lavorare tutti i giorni un poco più in giù. Qui siamo rimasti in pochi; un po’ di case e di fienili e stalle e una bella chiesa col campanile; sono marito di una splendida sposa, abbiamo tre bambini e ci sono altre due o tre famiglie giovani, non ancora ben definite, e ci troviamo spesso.

Ai nostri tre figli insegniamo le preghiere, siamo contenti di essere sposati perché quando eravamo fidanzati abbiamo fatto una bella esperienza di preparazione al matrimonio, giù in valle con altre giovani coppie. Là voi preti ci avete convinti che il nostro amore è l’immagine più bella dell’amore di Dio per l’umanità, i nostri tre figli lo hanno capito perché ci vedono volerci proprio bene e ce lo hanno pure dimostrato con la loro vivacità, competitività, capricci e accordi.

Abbiamo dovuto noi raccontare loro qualche bella parabola del vangelo, perché a scuola non dicono loro niente di questo. E’ il nostro catechismo per aiutarli a credere in Dio e innamorarsi di Gesù, perché voi vi siete fatti vedere una volta o due e poi siete spariti del tutto. Li vorremmo portare in chiesa qualche volta, ma ce l’avete chiusa alla grande; abbiamo una santella lungo una strada, usiamo quella per qualche bacetto e mazzetto di fiori, ma la chiesa è un’altra cosa. Non l’avete fatta apposta per farci incontrare tra di noi, fare Eucaristia e custodire il Corpo di Gesù?

Avete fiducia che noi possiamo essere una piccola Chiesa? Siamo tutti battezzati, io e mia moglie siamo cresimati, sposati; viviamo tutti i sacramenti, l’unzione degli infermi è meglio lasciarla ad altri tempi. Non siamo già una piccola Chiesa? Ae ci portate qualche volta l’Eucaristia con una Messa possiamo fare pure i missionari con i nostri amici. E fare qualche festa religiosa con i compagni di lavoro che passerebbero volentieri qualche serata da noi. Hanno mica cominciato così anche i primi cristiani? Abbiamo consapevolezza di dover resistere, ma soprattutto di dover ricambiare a Dio l’amore e i figli che ci ha regalato e farlo riscoprire anche ai nostri amici, che magari si sposano pure. Vogliamo essere la Chiesa del Signore in pienezza.

Due sposi e tre figli decisi a ‘fare’ chiesa

Articolo tratto dal sito di Avvenire.it