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I dati del Rapporto Istat 2023. Non è un paese per giovani

data di pubblicazione: 22-07-2023

In un’Italia provata dalla crisi, spiccano i dati negativi del benessere dei giovani dai 18 ai 34 anni: vite sempre più povere, precarie, “deprivate” di coesione sociale e benessere soggettivo e, soprattutto, di istruzione e lavoro. Siamo ai livelli più bassi in Europa
(articolo tratto dal sito azionecattolica.it)

È un’Italia “nel complesso resiliente”, quella che traspare dai dati del Rapporto annuale 2023 dell’Istat (qui in sintesi), ma che fatica a tenere il passo dei paesi più avanzati, dentro e fuori dall’Europa. In ritardo, ad esempio, su innovazione e ambiente, alle prese con una preoccupante denatalità, ferma quando si parla di inclusione di donne e giovani nel mondo del lavoro.
La fotografia dell’Istituto nazionale di statistica ritrae un paese con un’economia capace di resistere alla pandemia prima e allo shock energetico e al conseguente rialzo dei prezzi dopo, con una crescita del Pil nel 2022 del +3,7% (seconda solo a quella della Spagna in Ue), ma anche con una serie di criticità rispetto alle quali l’Italia deve ancora compiere dei grossi passi in avanti, alla luce delle direttrici indicate dal Pnrr e dalla sua progressiva attuazione.
 
In Italia 1,7 milioni di giovani non studiano e non lavorano
Uno dei nodi più critici è la situazione di vulnerabilità dei giovani. Secondo l’Istat, gli indicatori del benessere dei giovani, in Italia, sono ai livelli più bassi in Europa e, nel 2022, quasi un ragazzo su due tra 18 e 34 anni ha almeno un segnale di “deprivazione”. Si tratta di 4 milioni e 870 mila persone che si trovano a misurarsi con l’assenza di almeno uno dei “domini” chiave del benessere: istruzione e lavoro, coesione sociale e salute, benessere soggettivo e territorio.
Inoltre, circa 1,7 milioni di giovani, quasi un quinto di chi ha tra 15 e 29 anni, non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione (i cosiddetti Neet). La quota di Neet è al 20%, pari a 1,7 milioni di persone, e resta sopra la media Ue di oltre 7 punti, più bassa solo a quello della Romania. Il fenomeno dei Neet interessa in misura maggiore le ragazze (20,5%) e, soprattutto, i residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9%) e gli stranieri (28,8%).
 
Il tasso di disoccupazione giovanile al 18%
 
È un fenomeno che si associa a un tasso di disoccupazione giovanile elevato (il 18%, quasi 7 punti superiore a quello medio europeo), con una quota di giovani in cerca di lavoro da almeno 12 mesi tripla (8,8%) rispetto alla media europea (2,8%). Oltre tre quarti dei Neet vivono da figli ancora nella famiglia di origine e solo un terzo ha avuto precedenti esperienze lavorative.
 
La trappola della povertà passa di padre in figlio
In Italia la “trappola della povertà” è più intensa che nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea e sta aumentando più che altrove, a confronto con il 2011. Quasi un terzo degli adulti (tra 25 e 49 anni) a rischio di povertà proviene da genitori che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una cattiva condizione finanziaria. Gli ultimi dati disponibili, relativi al 2019, indicano in Italia il valore più alto tra i principali paesi europei e nel complesso dell’Ue inferiore solo a quello di Bulgaria e Romania.
Per mettere le nuove generazioni in grado di affrontare positivamente i cambiamenti in atto, e per prevenire l’insorgere di situazioni di vulnerabilità, sottolinea l’Istat, è necessario garantire a tutti bambini fin dalla nascita livelli di benessere che consentano un adeguato livello di sviluppo fisico, cognitivo, emotivo e relazionale. Questo obiettivo va perseguito incidendo sui contesti di vita dei bambini e sulle opportunità educative, formative, culturali e di socializzazione a cui sono esposti. Inoltre, è fondamentale che queste opportunità siano caratterizzate da equità di accesso, riducendo, per quanto possibile, l’influenza dei contesti, non solo familiari, di appartenenza.
 
L’Italia invecchia sempre di più, l’età media sale a 46 anni
Prosegue in Italia il processo di invecchiamento della popolazione (58.850.717): l’età media è salita da 45,7 anni a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023. Il dato emerge nonostante l’elevato numero di decessi di questi ultimi tre anni, oltre 2 milioni e 150mila, di cui l’89,7 per cento riguardante persone con più di 65 anni. Nel 2022 inoltre la stima della speranza di vita alla nascita è di 80,5 anni per gli uomini e 84,8 anni per le donne: solo per i primi si nota, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più. I livelli di sopravvivenza del 2022 risultano ancora al di sotto di quelli del periodo pre-pandemico, registrando valori di oltre 7 mesi inferiori rispetto al 2019, sia tra gli uomini, sia tra le donne.
 
Nel 2041 avremo oltre 6 milioni di ultraottantenni
Il numero stimato di ultracentenari raggiunge il suo più alto livello storico, sfiorando, al 1° gennaio 2023, la soglia delle 22 mila unità, oltre duemila in più rispetto all’anno precedente. Gli ultracentenari sono in grande maggioranza donne, con percentuali superiori all’80 per cento dal 2000 a oggi. Gli scenari demografici prevedono un consistente aumento dei cosiddetti “grandi anziani”: nel 2041 la popolazione ultraottantenne supererà i 6 milioni; quella degli ultranovantenni arriverà addirittura a 1,4 milioni. Una condizione demografica destinata ad avere effetti negativi sul tasso di crescita del Pil pro capite e sui capitoli della spesa sociale.
 
Nascite in calo anche nel primo quadrimestre del 2023
Il 2022 si contraddistingue per un nuovo record del minimo di nascite (393 mila, per la prima volta dall’Unità d’Italia sotto le 400 mila) e per l’elevato numero di decessi (713 mila). Nel 2022, le iscrizioni anagrafiche dall’estero ammontano a 361 mila, con un forte impulso dettato anche dai movimenti migratori dovuti alla guerra in Ucraina scoppiata a fine febbraio dello stesso anno.
Nel passaggio di un ideale testimone tra una generazione di genitori (i nati del baby boom) e quella dei loro figli (i nati della metà degli anni Novanta), i contingenti si sono pressoché dimezzati. L’evoluzione del numero medio di figli per donna in Italia continua a essere fortemente condizionato, inoltre, dalla posticipazione della genitorialità verso età più avanzate. L’età media al parto per le donne residenti in Italia è aumentata di dodici mesi dal 2010 al 2020, mentre è rimasta stabile nel 2021 e nel 2022, a 32,4 anni.
 
Calano in Italia gli individui in età attiva
Risultano in diminuzione tanto gli individui in età attiva, quanto i più giovani: i 15-64enni scendono a 37 milioni 339 mila (sono il 63,4 per cento della popolazione totale), mentre i ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni 334 mila (12,5 per cento). La popolazione ultrasessantacinquenne ammonta a 14 milioni 177mila individui al 1° gennaio 2023, e costituisce il 24,1 per cento della popolazione totale. Tra le persone ultraottantenni, si rileva comunque un incremento, che li porta a 4 milioni 530 mila e a rappresentare il 7,7 per cento della popolazione totale.
 
Salari di molto inferiori alla media Ue
Il titolo di studio offre migliori opportunità di occupazione e reddito da lavoro, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno e per le donne. È il Rapporto Istat 2023 a certificare così le maggiori chance tra i 25 ed i 65 anni per chi conclude un ciclo universitario. “Rispetto agli individui con al più la licenza media nella classe di età tra i 25 e i 64 anni, il tasso di occupazione dei laureati è di 30 punti superiore. Questa differenza arriva a 35 punti nel Mezzogiorno, a 44 tra le donne e sfiora i 50 punti tra le donne del Mezzogiorno”, si legge.
 
I lavoratori italiani guadagnano circa 3.700 euro l’anno in meno della media dei colleghi europei e oltre 8 mila euro in meno della media di quelli tedeschi. La retribuzione media annua lorda per dipendente è pari a quasi 27 mila euro, inferiore del 12% a quella media Ue e del 23% a quella tedesca, nel 2021, a parità di potere d’acquisto. Il Rapporto indica che, tra il 2013 e il 2022, la crescita totale delle retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia è stata del 12%, circa la metà della media europea. Il potere di acquisto delle retribuzioni, negli stessi anni, è sceso del 2% (+2,5% negli altri paesi).